Ingegneri, architetti e geologi del cratere hanno cominciato a chiamarlo il “grande Cesare”. Sabato scorso il suo intervento al convegno della Rete delle Professioni Tecniche a Camerino è stato spesso interrotto da applausi e urla di approvazione (come potete constatare qui). Per i tecnici del terremoto, il direttore dell’Ufficio Speciale della Ricostruzione della Regione Marche, Cesare Spuri, sembra diventato un idolo. Non era scontato, dopo due anni di sostanziale paralisi. Ma è stato proprio sull’analisi di quello che non ha funzionato nella ricostruzione che il responsabile amministrativo della procedura ha incrociato i consensi della platea.
Troppe formalità
Le tariffe dei professionisti sui progetti? “Il 10% è troppo basso, non garantisce la qualità della ricostruzione”. Il divieto di cumulare gli incarichi? “Sbagliato”. Il vincolo sui conflitti con le imprese che fanno i lavori? “Nella vita normale non esiste, si fa la fattura, e non è una cosa così terrificante”. La gara tra le imprese prima dei lavori? “Si perde tanto tempo e si risparmiano pochi soldi”. I subappalti? “Vanno indicati quando le imprese entrano in cantiere, non sei mesi prima”. E le procedure dell’Ufficio Speciale (che lui dirige)? “Troppe formalità, per dare i contributi dobbiamo esaminare anche il Dna dei beneficiari”.
Banche lente e regole sbagliate
In pochi minuti Spuri ha spiegato, da dentro, quali sono i motivi della sostanziale paralisi della ricostruzione, che dopo due anni vede 500 case riparate sulle 77 mila danneggiate dal sisma. Prendendosela anche con le banche, “che ogni volta che devono pagare uno stato di avanzamento dei lavori è come se facessero la pratica per un mutuo”, e con i limiti della stessa normativa sulla ricostruzione. “Basta col dov’era e com’era per forza. Se un’impresa agricola ha quattro locali accessori e progetta in futuro di raggruppare tutto in un unico immobile, perché non lo può fare? Perché ti devo dare il contributo per il seminterrato e non per una camera da letto in più? Che senso ha impedire la vendita degli immobili prima di due anni dalla ricostruzione coi contributi?” si è chiesto Spuri.

Il Commissario non si sbilancia
Valutazioni che molti tecnici coinvolti nella ricostruzione condividono, ma che non sembrano aver scosso più di tanto il commissario Piero Farabollini, presente all’incontro, e che a detta dei presenti non ha dato alcuna indicazione concreta sulle prossime mosse. Le carenze denunciate da Spuri, che più volte nei mesi scorsi aveva lanciato l’allarme sulla lentezza della ricostruzione (leggi qui e qui), sembrano invece corroborate dai sondaggi fatti dalla Rete delle Professioni Tecniche tra chi si occupa materialmente dei progetti. Una ricerca da cui emerge la conferma di un quadro molto negativo.
Un anno per una pratica
Per definire una pratica per un immobile con danni pesanti occorrono 365 giorni in media: 83 se ne vanno con la prima elaborazione del progetto, altri 26 per la compilazione e il caricamento della pratica sulla piattaforma informatica Mude. Poi ci sono i tempi dell’Ufficio: 120 giorni in media per l’istruttoria, altri 80 per passare all’emissione del decreto di concessione dei contributi, cui si aggiungono 57 giorni per l’avvio materiale del cantiere. Se tutto va bene. Nel 49 per cento delle casi gli Uffici chiedono integrazioni informali delle pratiche presentate, che già richiedono una valanga di documenti, e in media le richieste di questo tipo sono una decina.
Un peso due misure
A complicare tutto ci sono mille altre difficoltà. Interpretazioni diverse di situazioni analoghe da parte dei diversi Uffici regionali, le difficoltà dei Comuni per certificare la conformità dei progetti al preesistente e alle regole urbanistiche, le lungaggini nella verifica dei diritti soggettivi, per cui se manca una firma dei dieci eredi dell’immobile distrutto la pratica si blocca. Pure la piattaforma informatica, ritenuta da tutti molto ostica, non aiuta. Problemi che derivano da una normativa troppo rigida, e che in qualche caso si trascinano fin dalla fase iniziale della ricostruzione.
Il 30% delle Aedes incongruo
Dal convegno di Camerino è emerso per esempio che una quota molto rilevante delle schede Aedes, quelle fatte per la valutazione iniziale del danno e l’accesso al contributo, sia “incongrua”. Cioè non veritiera: sarebbero ben il 30% e la Regione Umbria sarebbe in attesa delle verifiche della Guardia di Finanza per capire come regolarsi. (M. Sen.)