I “misteri” della magnitudo, il legame con le eruzioni, le cause dei morti di Casamicciola, i rischi del Centro Italia. E, ancora, la battaglia persa della prevenzione, il miraggio delle previsioni e il problema dei fondi per la ricerca. Carlo Doglioni, presidente dell’Ingv, spiega il terremoto.
“L’Italia è soggetta a molti rischi, ma non ci sono posti inabitabili: bisogna avere più consapevolezza della natura e delle sue regole, inglobarle nella nostra cultura. Il terremoto deve diventare parte della nostra storia. Solo quando avremo paura metteremo in sicurezza le case”.
Questo è il testo integrale dell’intervista fatta per il Corriere della Sera e pubblicata, in una versione più breve, il 23 agosto.
Professor Carlo Doglioni, come si passa da una valutazione di magnitudine 3.6, quella iniziale attribuita alla scossa dell’altra sera a Ischia, a un grado definitivo di 4?
«Il primo dato è quello registrato dalla macchina della sala operativa di Roma. La prassi vuole che quando c’è un sisma di grado superiore a 2.5, l’Ingv comunichi il dato alla Protezione Civile entro due minuti, un aggiornamento dopo cinque e quello finale dopo mezz’ora. In questo lasso di tempo viene rivalutato il dato espresso dalla macchina: ci sono diversi modi di calcolare la magnitudine di un terremoto, cioè l’energia sprigionata, e metodi diversi danno risultati diversi. Sempre tenendo conto che il dato della magnitudine, in sé, ha un grado di incertezza, a prescindere, di 0.2 gradi in più o in meno».
Si dice che quello di Ischia sia un terremoto indipendente dall’attività vulcanica dell’area. È così?
«Terremoti e vulcani sono legati dalla geodinamica, sono fenomeni intrinsecamente imparentati. Un terremoto non può innescare un’eruzione, ma è un dato di fatto che molte eruzioni siano precedute da terremoti. In questo caso il terremoto, che è stato di magnitudo lieve, è stato innescato da una faglia di natura tettonica».
Che evoluzione si aspetta?
«Non c’è alcuna possibilità di fare una previsione attendibile. Non si può escludere nulla e in questo momento non abbiamo indicazioni di alcun genere. Ma, ripeto, è stato un movimento piccolissimo, la superficie di rottura è molto piccola, qualche chilometro quadrato. L’energia che si è dissipata con la scossa è stata, per dare un metro, mille volte inferiore a quella di Amatrice».
Ma ha causato morti, feriti e tanti danni…
«Ci sono almeno tre ragioni. La prima è la relativa superficialità dell’ipocentro, circa 5 km; la seconda il terreno, che ha amplificato gli effetti del sisma. Casamicciola è costruita su depositi vulcanici che sono in parte franati dalle falde del Monte Epomeo, e sono poco consolidati. Dove il terreno non è compatto, le onde sismiche rallentano, e portandosi dietro l’energia, aumentano di ampiezza e fanno i danni maggiori. La terza ragione è l’estrema vulnerabilità degli edifici che sono crollati. L’accelerazione al suolo prodotta dalla scossa dell’altra sera è stata anche maggiore di 0,25 g, un quarto della forza di gravità. Ma i danni causati a Ischia sono, valutati in termini di intensità, probabilmente pari al VIII-IX grado della scala Mercalli rivista. La capacità di resistenza degli edifici di Amatrice era superiore a quella di Casamicciola, dove ci sono immobili che non stanno veramente in piedi».
È passato un anno dall’avvio della sequenza sismica nel Centro Italia. La Commissione Grandi Rischi segnalò tre aree, attigue a quelle dell’ultima zona epicentrale, particolarmente a rischio. Non se ne parla più. Ci sono novità?
«Quelle aree restano motivo di grande attenzione per noi, continuiamo a monitorarle e studiarle. Quella ferita che si è aperta col terremoto di Amatrice è qualcosa che può succedere anche nel futuro in altre parti della penisola italiana. L’Appennino si dilata di quei 3-4 millimetri l’anno, che ogni qualche secolo determinano un movimento di qualche metro. Il 30 ottobre a Norcia il terreno è sprofondato di oltre un metro, ma si sono abbassati ben 6 mila chilometri cubici di crosta terrestre. Potrà capitare di nuovo, a Nord, Est, Ovest, a Sud, in Abruzzo, nel Matese, in Calabria, Basilicata. Il fenomeno è lo stesso: a chiazze, il terreno della penisola sprofonda».
Ma è “normale” questa concentrazione così ravvicinata di terremoti?
«Ci sono momenti in cui è tranquilla, ed altri in cui improvvisamente la terra si attiva. In Italia tra il 1905 e il 1922, in 17 anni, ci sono stati 15 terremoti di magnitudine superiore a 5.5»
Eppure dalle tragedie sembra non si sia imparato nulla…
«Gli italiani dimenticano presto il terremoto. È un meccanismo naturale di difesa del nostro cervello cercare di rimuovere gli avvenimenti tragici: può andare bene nella logica della ricostruzione, ma non va bene per la prevenzione. Il terremoto deve diventare una parte della nostra storia. Io penso che il cittadino farà la scelta di mettere le catene sulle pareti di casa, di adeguarla sismicamente, solo quando avrà paura. La rimozione della paura lo porta a mantenere un atteggiamento fatalista e a non far nulla».
Quanto tempo ci vorrebbe per mettere in sicurezza l’Italia?
«Non basterebbero cinquant’anni, per come siamo messi. E dobbiamo cominciare. L’Italia è un paese che ha elevati rischi sismici, idrogeologici, vulcanici, ma è questa sua geologia a farlo il paese più bello del mondo. Non ci sono posti inabitabili, ma bisogna avere più consapevolezza della natura e delle sue regole, inglobarle nella nostra cultura. La memoria dei terremoti passati dovrebbe aiutarci a costruire in modo migliore, a non farlo dove c’è un rischio, a sanzionare gli abusi. E questi vincoli devono essere nella pianificazione urbanistica, ed essere invalicabili».
A che punto è la ricerca sui terremoti? Si arriverà mai a prevederli?
«Oggi ancora non abbiamo dei precursori, segnali che ci avvisano dell’arrivo di un sisma. E il problema si affronta in termini probabilistici, si studia la ricorrenza dei terremoti nella storia ma, ma i tempi geologi sono millenari, e la nostra banca dati è limitata. Noi abbiamo fatto un lavoro eccellente con il Catalogo parametrico dei terremoti, ma la serie storica accertata comincia un migliaio di anni fa e i dati delle rilevazioni strumentali li abbiamo da un centinaio d’anni. I terremoti, però, sono aperiodici e non possiamo basarci solo sulle serie storiche. Anzi dovremmo affiancare a questa visione approcci deterministici. Stabilire che magnitudo massima può raggiungere un terremoto in una determinata zona e valutare, di conseguenza, la resistenza degli edifici. Ma soprattutto dobbiamo investire nella ricerca».
Non si spende abbastanza?
«Non quanto meriterebbe lo studio della Terra».
L’Inaf ha una dotazione annua di 87 milioni, l’Istituto di fisica nucleare 260, voi ne avete 57. Nel 2007 erano 54 milioni. L’Ingv usa il 90% del proprio bilancio per pagare gli stipendi dei mille dipendenti, di cui 400 precari…
«Beh, la situazione è questa, c’è poco da dire. Ma non posso affermare che il governo non abbia attenzione per l’Ingv, anzi. La speranza é che la situazione finanziaria domani migliori, e ci permetta di fare più ricerca, oltre alla sorveglianza che facciamo per conto della Protezione Civile e che assorbe il 30% della nostra attività. Le geoscienze non sono meno importanti delle altre discipline, studiare la terra non è meno nobile dello studio degli esopianeti»
Mario Sensini
Comunicato stampa
Terremoto: Architetti, “continua a mancare la cultura della prevenzione”
Roma, 23 agosto 2017. “La mancanza di serie politiche di prevenzione evidenzia – dopo grandi catastrofi, come il terremoto che ha colpito l’Italia centrale un anno fa e, purtroppo,
il recentissimo sisma di Ischia – come i problemi che devono essere affrontati non siano tanto connessi alla gestione dell’emergenza, cui si deve l’impegno e la gestione del Dipartimento Protezione Civile, quanto piuttosto alla mancanza della cultura della prevenzione, ossia della conoscenza, del contrasto e della riduzione del rischio. Se è significativo – e certamente apprezzabile – il recente ‘Sisma bonus” promosso dal Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti per gli
interventi edilizi antisismici, grande però è la responsabilità della politica per la mancanza di provvedimenti che contrastino con decisione abusivismo e cattiva qualità del costruito. Fenomeno, questo, assolutamente rilevante, considerato che dal 2006 al 2015 – secondo i dati del CRESME – in media più del 16% delle nuove abitazioni costruite in Italia è abusiva, con un picco di quasi il 21% nel 2015 ( circa 18 000 su 110 000)”.
Così il Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori.
“Per gli architetti italiani il tema della prevenzione costituisce da sempre un impegno prioritario per poter assicurare una migliore qualità degli interventi e per svolgere più efficacemente tutti quei servizi in grado di ridurre tutti i fattori di rischio per le nostre comunità.
Oltre 600 architetti italiani si sono mobilitati, nel terremoto che un anno fa ha colpito l’Italia centrale, nella fase di ricognizione dei danni diventando soggetti protagonisti degli interventi della
Ricostruzione. Non va taciuto, tuttavia, che essi rappresentano l’anello debole di una catena di procedure e responsabilità che ne mortificano spesso l’impegno”.
“Anche nel tragico momento che vede un altro terremoto – di Ischia – seminare lutti e distruzioni, il Consiglio Nazionale conferma il suo massimo impegno nell’assicurare il supporto istituzionale nel sostenere trasparenza, de-burocratizzazione, snellimento ed omogeneità delle procedure”.