giovedì , 28 Settembre 2023

Panico dopo la Commissione Grandi Rischi. Il governo critica il presidente e rassicura sulle dighe

Sarà che dopo 48 mila scosse di terremoto i nervi sono a pezzi, sarà che il linguaggio usato dagli esperti non è esattamente a portata di tutti, che ci si è messo anche il loro capo a dire cose un po’ strampalate, e che magari anche i giornali e tv non sono andati troppo per il sottile. Fatto sta che il comunicato della Commissione Grandi Rischi emesso due giorni fa, dopo il nuovo terremoto in Abruzzo, in cui si sottolinea che la sequenza sismica non si è esaurita, che i terremoti nell’Italia centrale possono essere anche più forti di quelli che ci sono stati negli ultimi mesi, e che bisogna tener d’occhio le dighe, ha scatenato il panico in tutta l’Italia centrale. Soprattutto dopo l’uscita del presidente della Commissione, Sergio Bertolucci, che ieri ha parlato di un possibile “effetto Vajont”.

Molti sindaci accusano la Commissione di aver messo la popolazione in subbuglio, invece di tranquillizzarla. C’è chi racconta di interi paesi in lacrime, chi vuole denunciare gli esperti, chi minaccia di chiudere le scuole per dieci anni, e quasi tutti vogliono che adesso qualcuno gli dica che cosa debbano fare.

Hanno ragione gli italiani e i sindaci a disperarsi? Il governo dice di no, che qualcuno esagera. A cominciare dallo stesso Bertolucci con la storia del Vajont, che secondo il ministro per le Infrastrutture,  Graziano Delrio, “è del tutto fuori luogo”. “Poteva evitarselo” ha detto Delrio dopo aver presieduto una riunione con i tecnici dell’Enel, e le autorità competenti, sulla situazione delle dighe nelle zone sismiche. Che “non evidenziano criticità”, anche se saranno sottoposte a un “monitoraggio costante”. “I recenti eventi hanno prodotto importanti episodi di fagliazione superficiale che ripropongono il problema della sicurezza delle infrastrutture critiche quali le grandi dighe” aveva detto la Commissione, i cui componenti (oggi tutti diversi) subirono un processo dopo il terremoto dell’Aquila, per aver tratto in inganno la popolazione, rassicurandola (ci fu un solo condannato).

Quanto al resto, il comunicato della Grandi Rischi non aggiunge nulla a quanto i geologi ed i sismologi sapevano già benissimo. E cioè che la situazione dell’Appennino, oggi, non è diversa da quella che è stata negli ultimi secoli. E che proprio tranquilli non si può stare, a meno di vivere in case sicure, perchè di terremoti forti e che si sono protratti a lungo nel tempo, come quello cominciato il 24 agosto, che si è ripresentato con scosse assai violente a ottobre e pochi giorni fa, in zone attigue, ce ne sono stati parecchi. Con un potenziale distruttivo anche maggiore a quello dimostrato fin qui.

“Un aspetto della sismicità di questa regione è la possibilità che le sequenze possano avere una ripresa e propagarsi alle aree limitrofe, come già avvenuto ad esempio per la sequenza del 1703 (con una durata di oltre un anno e due eventi di magnitudo tra 6.5 e 7 a distanza di un mese), del 1639 (almeno due eventi comparabili a distanza di una settimana), di Colfiorito (1997, M6.0, con una sequenza di sei eventi di magnitudo oltre 5.2 su una durata di sei mesi) e ora nella zona di Amatrice, con tre eventi di Mw5.9-6.5 negli ultimi cinque mesi” si legge nei verbali della Commissione, riportati in sintesi nel comunicato stampa della Protezione Civile. “La Commissione conferma l’impianto interpretativo già formulato a seguito degli eventi del 24 agosto e del 26 e 30 ottobre. Ad oggi – si aggiunge – non ci sono evidenze che la sequenza sismica sia in esaurimento”.

Identiche parole a quelle usate pochi mesi fa, come quelle sulle zone più a rischio. “Tre aree contigue alla faglia principale responsabile della sismicità in corso non hanno registrato terremoti recenti di grandi dimensioni e hanno il potenziale di produrre terremoti di elevata magnitudo (M6-7). Questi segmenti – localizzati rispettivamente sul proseguimento verso Nord e verso Sud della faglia del Monte Vettore-Gorzano e sul sistema di faglie che collega le aree già colpite dagli eventi di L’Aquila del 2009 e di Colfiorito del 1997 – rappresentano aree sorgente di possibili futuri terremoti” ha detto due giorni fa la Grandi Rischi. Il 28 ottobre la Commissione aveva già parlato delle tre zone di “buco”. “La sismicità del 26 ottobre ha attivato uno dei segmenti individuati dalla Commissione, a nord dell’evento di agosto, mentre gli altri due segmenti non si sono mossi. In considerazione della contiguità con la sismicità in corso, questi due segmenti rappresentano possibili sorgenti di futuri terremoti nella regione già colpita dagli eventi degli ultimi anni. Non si può inoltre escludere la prosecuzione della sismicità a Nord del sistema del Vettore-Bove. Ad oggi – concludeva – non ci sono evidenze che la sequenza in corso sia in esaurimento”.

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