L’effetto Vajont? “Un improvvido uso del termine”. Caso più unico che raro per chi ricopre ruoli di responsabilità nel nostro paese, il presidente della Commissione Grandi Rischi, Sergio Bertolucci, ammette l’errore e fa pubblica ammenda. Rammaricandosi per aver creato involontariamente ansia nei cittadini con le dichiarazioni rilasciate in tv il 22 gennaio scorso, dopo la riunione della Commissione Grandi Rischi. Bertolucci aveva sottolineato il problema della sicurezza delle grandi dighe nella zona colpita dal terremoto parlando di un possibile “effetto Vajont”. Una frase, si legge in un comunicato di Bertolucci diffuso dalla Protezione Civile, “che ha avuto larga risonanza mediatica e che ha causato apprensione ai cittadini”, ma che “non è in alcun modo da ascrivere alla Commissione”. Essa, si sottolinea, “è il risultato di un improvvido uso del termine da parte del Presidente nello spiegare i parametri da monitorare per l’integrità di un bacino artificiale durante un’intervista telefonica. Un singolo minuto di quest’intervista, originariamente di più di dieci minuti, è stato mandato in onda estraendo la frase dal contesto, con il risultato di stravolgerne completamente il senso. Il Presidente se ne assume comunque la responsabilità ed esprime tutto il suo rammarico per aver involontariamente contribuito ad aggravare lo stato di ansia delle popolazioni già duramente colpite”.
Chiarito il problema, Bertolucci ha difeso a spada tratta le conclusioni della Commissione del 22 gennaio, che ha confermato, come già il 25 agosto e il 28 ottobre, l’esistenza di tre aree a particolare rischio sismico, perchè contingue alla faglia responsabile della sismicità in corso e che, pur avendo il potenziale di produrre terremoti di elevata magnitudo (grado 6-7 della scala Richter), non hanno registrato terremoti recenti di grandi dimensioni. Le tre aree sono quelle a Nord e a Sud della faglia del Monte Vettore-Gorzano e il sistema di faglie che collega le aree già colpite dai terremoti dell’Aquila del 2009 e di Colfiorito del ’97.
Le mappe
Per capire un po’ meglio di cosa si sta parlando, pubblichiamo intanto un paio di mappe esplicative. Ma nei prossimi giorni Sibilla-online cercherà di appropfondire la questione ricorrendo all’aiuto degli esperti.
Qui sopra il sistema di faglie dell’Italia centrale, con gli epicentri dei principali terremoti prima del 2016
L’epicentro del terremoto di agosto, con i “buchi” (gap) evidenziati dalla rivista online Temblor subito dopo l’evento. In alto a sinistra l’area di Colfiorito, in basso a destra quella de L’Aquila, colpite nel ’97 e nel 2009. Rispetto a questa situazione, i terremoti di ottobre e di gennaio non hanno cambiato molto. Quei buchi restano, pericolosamente silenti.